Filosofo italiano contrattacca le critiche di Buttiglione alla Correzione Filiale Diane Montagna
ROMA, 10 ottobre 2017 (LifeSiteNews) — Rocco Buttiglione, un filosofo italiano, già amico del Papa Giovanni Paolo II, la settimana scorsa ha lanciato un duro attacco contro gli autori della “Correctio filialis”, con l’accusa di ergersi come “giudici del Papa”, e di “non discutere ma condannare”, e inoltre di non essere fedeli al testo di Amoris Laetitia. Nell’intervista del 3 ottobre con Andrea Tornielli, di Vatican Insider (uno dei consiglieri mediatici più vicini a Papa Francesco), Buttiglione ha respinto le sette accuse di eresie, propagate da Papa Francesco secondo la Correctio, argomentando che in ciascuna di esse i correttori avrebbero frainteso il pensiero del Papa. Buttiglione ha inoltre accusato gli autori e i firmatari della Correctio di voler “isolare Papa Francesco contrapponendolo ai suoi predecessori”, etichettandoli come un gruppo in gran parte marginale, pur riconoscendo che il documento ha ricevuto “una vasta eco nei mezzi di comunicazione”. Ora una conoscenza di Buttiglione, e uno degli organizzatori della “Correzione filiale”, il filosofo e storico della Chiesa italiano Claudio Pierantoni (professore di Filosofia Medievale alla Universidad de Chile), risponde alle sue critiche. Pierantoni afferma che l’accusa di ergersi come giudici del Papa “è falsa e tendenziosa”, e un sorprendente “atto di calunnia”. Risponde anche al tentativo di confutare l’accusa dei “correttori” di propagare eresie. In quest’intervista, Pierantoni spiega come il capitolo VIII di Amoris Laetitia intrecci abilmente l’autentica dottrina cattolica delle circostanze attenuanti con i concetti eterodossi dell’etica della situazione, secondo cui “non esistono azioni intrinsecamente cattive” e, in alcune situazioni, “ciò che normalmente è cattivo può essere la scelta giusta e quindi può essere oggettivamente una buona azione”. Secondo Pierantoni, la dottrina delle circostanze attenuanti “viene qui usata come una maschera per dissimulare l’etica della situazione”. In quanto alle altre eresie contestate, Pierantoni sottolinea come la confutazione di Buttiglione sia eccessivamente sbrigativa e superficiale, e non renda giustizia né alla complessità dei problemi sollevati, né alla vasta bibliografia già apparsa sul tema. “Una persona del livello intellettuale e morale di Buttiglione” conclude Pierantoni “non difenderebbe mai un testo così indifendibile, se non lo facesse appunto per partito preso, per un’opzione ideologica basata, in ultima analisi, su un falso concetto del Papato”.
Quest’intervista fa seguito all’intervista con il Professor Pierantoni dello scorso 29 settembre, sulle radici moderniste della presente crisi. Professor Pierantoni, come conosce Rocco Buttiglione? Ha parlato con lui in passato su questi temi sollevati da Amoris Laetitia? Ho conosciuto Rocco Buttiglione una decina d’anni fa qui a Santiago del Cile come alunno della International Academy of Philosophy di Josef Seifert (IAP), accademia di cui Buttiglione è stato per molti anni uno dei docenti più validi, e in cui ricopre incarichi direttivi. In quest’ambito degli amici della IAP ho partecipato al dibattito sostenuto a varie riprese via e-mail tra i membri o ex-membri dell’Accademia, fin dal giorno, si può dire, in cui è uscita la Amoris Laetitia. Abbiamo quindi scambiato, sul tema, diverse decine di lettere, sempre in un clima di grande cordialità e amicizia, pur nella differenza di opinioni. Leggendo l’intervista di Buttiglione su La Stampa del 3 ottobre, sembra che lui pensi che non ci sia differenza fra accusare il Papa di propagare eresie ed accusarlo di essere un eretico. È corretto questo? No, mi sembra che questo non sia per niente corretto. C’è una chiara differenza fra “eresia materiale” (che si riferisce oggettivamente al contenuto di quanto si attribuisce al Papa di propagare con parole, opere ed omissioni) ed “eresia formale”, che si riferirebbe soggettivamente alla persona ed alla sua imputabilità personale. Ora, questo viene escluso molto chiaramente nella Correctio Filialis (CF). Dopo aver definito in che consiste il delitto di eresia, specifichiamo: “Le suddette descrizioni relative al peccato personale di eresia e al delitto di eresia secondo il diritto canonico vengono fornite solamente al fine di escluderle dall’oggetto della nostra correzione. Siamo solo preoccupati di evidenziare le proposizioni eretiche propagate mediante parole, atti e omissioni di Vostra Santità. Non abbiamo la competenza per affrontare la questione canonica dell’eresia e neppure l’intenzione” (CF, Dilucidazione, pag. 12). C’è quindi un’evidente differenza tra ciò che si afferma dei contenuti e ciò che si afferma della persona, differenza che non è verosimile pensare che Buttiglione ignori o non capisca. È quindi altrettanto falso e tendenzioso affermare che ci costituiamo o atteggiamo a giudici del Papa o a Tribunale del Sant’Uffizio, quando invece affermiamo chiaramente, proprio nelle prime pagine: “Come sudditi, non abbiamo il diritto di indirizzare a Vostra Santità quella forma di correzione mediante la quale un superiore minaccia o amministra la punizione a coloro che sono sottomessi a lui (cf. Summa Theologiae 2a 2ae, 33,4). Le rivolgiamo questa correzione, piuttosto, al fine di proteggere i nostri fratelli cattolici – e quelli fuori della Chiesa, dai quali la chiave della conoscenza non deve essere portata via (cf. Lc 11) – sperando di prevenire una diffusione maggiore di dottrine che tendono per se stesse alla profanazione di tutti i sacramenti e alla sovversione della Legge di Dio” (CF pag. 2-3). Alla luce di ciò si valuti la lapidaria quanto infondata affermazione di Buttiglione: “Qui un gruppo di uomini si ergono a giudici sopra il Papa. Non espongono obiezioni, non discutono. Giudicano e condannano.”
Lasciamo da parte - Buttiglione l’ha forse dimenticato - che obiezioni, discussioni, domande e dubbi sono stati proposti al Papa già da diciassette mesi, e non se n’è ricevuta risposta alcuna. Ma arrivare poi a dire che noi giudichiamo e addirittura condanniamo il Papa è una vera e propria calunnia, che non mi sarei aspettato da lui. Buttiglione sembra negare questa distinzione, mentre invece pone un forte accento sulla differenza fra l’oggettiva gravità dell’adulterio e la colpa soggettiva dell’adúltero. C’è una differenza significativa fra l’adulterio e l’eresia sotto questo aspetto? Vi è certamente un’importante differenza, perché nel caso dell’eresia materiale i contenuti possiedono per così dire un’entità intelligibile propria, che di per sé non ha relazione diretta con la persona che li propaga. Invece l’atto adulterino, come tale, è un’azione pratica, che non può scindersi realmente, ma solo per un’operazione mentale di astrazione, dal soggetto che lo compie, e quindi non ha sussistenza propria indipendentemente dal soggetto. Però c’è anche una chiara analogia, perché in entrambi i casi si oppone l’elemento oggettivo a quello soggettivo. Quindi è strano, proprio come Lei dice, che Buttiglione non tenga conto di questa opposizione, che è appunto la parte principale del suo argomento contro di noi. Rocco Buttiglione sembra suggerire che i firmatari della Correzione neghino la necessità della piena avvertenza e del deliberato consenso perché un peccato grave sia mortale. È corretto questo? Più precisamente, Buttiglione afferma che i critici di AL su questo avrebbero cambiato idea: “I critici hanno cominciato sostenendo che in nessun caso un divorziato risposato può essere in grazia di Dio. Poi qualcuno (io, per esempio) gli ha ricordato che per avere un peccato mortale è necessaria non solo una materia grave (e l’adulterio è certamente materia grave di peccato) ma anche piena avvertenza e deliberato consenso. Adesso sembra che facciano marcia indietro: hanno capito anche loro che in alcuni casi il divorziato risposato può essere esente da colpa a causa di attenuanti soggettive (mancanza di piena avvertenza e deliberato consenso). Per coprire la ritirata cosa fanno? Attribuiscono al Papa l’affermazione che il divorziato risposato che rimanga nella sua situazione con piena avvertenza e deliberato consenso è tuttavia in stato di grazia”. Questa “marcia indietro” o “ritirata”, che Buttiglione ci attribuisce, è del tutto immaginaria. Sembra alquanto improbabile, per non dire francamente assurda, questa sua supposizione, secondo cui decine di colleghi sarebbero stati colti da improvvisa amnesia all’apparire di AL ed avrebbero tutti insieme dimenticato un aspetto così ovvio della dottrina morale. Naturalmente, non è così: tutti noi sapevamo già dell’esistenza della dottrina che considera essenziale, per l’imputabilità, la piena avvertenza e il deliberato consenso; quindi, è ovvio che la davamo per sottintesa. Veramente, se AL VIII trattasse solo di questo, come pretende Buttiglione, nessuno se ne sarebbe mai scandalizzato; e d’altro lato, se fosse stato solo per ripetere una cosa tanto risaputa, nessuno dei redattori si sarebbe neppure preso il fastidio di scriverlo questo famoso capitolo VIII di AL. Il fatto è che, seppure abilmente intrecciate con molte affermazioni sulla responsabilità soggettiva e la piena avvertenza, AL 8 contiene alcune chiarissime affermazioni di
“etica della situazione”. Questa è la dottrina secondo cui non esistono proibizioni assolute, e vi sono situazioni in cui la violazione di un comandamento negativo può essere un atto moralmente buono: dottrina energicamente condannata da S. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Veritatis Splendor, che, non a caso, non viene mai citata in AL. Questo è stato messo in evidenza ormai da decine di articoli, che Buttiglione non può ignorare, anche perché le principali argomentazioni gli sono state ormai ripetute in una quantità di lettere sia dal Prof. Seifert che da me e da altri: a queste argomentazioni Buttiglione non ha avuto di che rispondere efficacemente, limitandosi a ripetere che in AL VIII non c’è altro che la dottrina tradizionale sulle attenuanti soggettive. Va sottolineato accuratamente che, per quanto il testo di AL si sforzi di mescolare la dottrina delle attenuanti, che presa in sé è ortodossa, con la morale di situazione, che invece è eretica, si tratta invece di due cose assolutamente diverse. La prima, infatti, sostiene che, per quanto un’azione in se stessa sia cattiva, ci possono però essere elementi, come uno stato di grave alterazione psicologica, o l’ignoranza, che diminuiscono, o addirittura annullano, la colpevolezza soggettiva. Invece la morale di situazione afferma che in assoluto non esistono azioni intrinsecamente cattive e che, in alcune situazioni, quello che è normalmente cattivo, può essere la scelta corretta, quindi può essere oggettivamente una buona azione. Citerò un passo chiarissimo in tal senso, il paragrafo 303, dove il testo afferma: “Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.” Perché questo passaggio è particolarmente significativo? Come ha spiegato il Prof. Seifert in un già famoso articolo, che gli è recentemente costato la cattedra a Granada (e come ho cercato di chiarire poi anch’io in un successivo articolo in difesa dello stesso Seifert: “Josef Seifert, Pure Logic and the Beginning of the official persecution of Orthodoxy within the Church”: http://aemaet.de/index.php/aemaet/article/view/46/pdf) è evidente la gravità di un’affermazione secondo cui, a proposito di una situazione “non rispondente oggettivamente al comandamento del Vangelo” (si allude alla proibizione dell’adulterio: si noti che il testo italiano traduce “proposta”, che però non corrisponde al testo latino “mandatum”, comando), uno potrebbe “scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti.” Va da sé che il testo già contiene una seria deformazione al chiamare “ideale”, quello che invece è un comandamento da osservarsi strettamente. Ma c’è di più: in realtà, qui si dice che “una situazione non rispondente al comandamento del Vangelo” sarebbe “ciò che Dio stesso sta richiedendo”. Cioè che, appunto secondo quanto sostiene l’etica della situazione, non esistono comandamenti assoluti: si noti che qui non si parla affatto di una diminuzione della colpevolezza, né di ignoranza, ma si dice proprio che il soggetto scopre, in base a una “coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore” che si tratta di una buona azione: si tratta, né più né meno, di “ciò che Dio sta richiedendo”. Ora Buttiglione, con abile manovra, cerca di salvare anche questo testo veramente indifendibile; ma,
per farlo, è costretto ad introdurre un elemento che non vi compare affatto. Infatti, afferma Buttiglione: “Il Papa non dice che Dio è contento del fatto che i divorziati risposati continuano ad avere rapporti sessuali fra loro. La coscienza riconosce di non essere in regola con la legge. La coscienza però sa anche di avere iniziato un cammino di conversione. Uno va ancora a letto con una donna che non è sua moglie ma ha smesso di drogarsi e di frequentare prostitute, si è trovato un lavoro e si prende cura dei suoi figli. Ha il diritto di pensare che Dio sia contento di lui, almeno in parte.” Secondo Buttiglione, quindi, Dio sarebbe contento, nel soggetto in questione, non della situazione non rispondente al comando evangelico (la situazione adulterina), ma di altre cose, buone. E veramente, se AL dicesse questo, nessuno avrebbe da obiettare. Purtroppo però questo il testo non lo dice, dato che non fa affatto riferimento ad altri aspetti, bensì dice chiaro e tondo, per citarlo una volta di più, che “una situazione non rispondente al comandamento del Vangelo” – quindi proprio quella situazione, non un’altra cosa - è proprio “ciò che Dio stesso sta richiedendo”. Quindi AL 303 dice una cosa del tutto diversa da quello che vorrebbe fargli dire il Prof. Buttiglione. E poi saremmo noi quelli che facciamo dire al Papa quello che non dice. Rocco Buttiglione parrebbe affermare che un sacerdote può consigliare a un penitente di ricevere la Comunione anche se è un adúltero impenitente, nel caso che manchi di piena avvertenza e deliberato consenso. Ma il sacerdote non sarebbe piuttosto obbligato a formare la coscienza del penitente, in modo tale che avesse appunto piena avvertenza e deliberato consenso, e così smettesse di commettere adulterio, oppure si astenesse dalla comunione? Qui veniamo proprio alla contraddizione più evidente del testo in esame: infatti, oltre a quanto abbiamo già esemplificato sulla presenza della “morale di situazione”, anche il ricorso al tema della minore consapevolezza o dell’ignoranza contraddice direttamente , nel contesto di AL VIII, proprio il tema principale che il titolo propone: “accompagnare, discernere e integrare la fragilità”. In tutto questo processo di accompagnamento e discernimento, che dovrebbe culminare nel confessionale, è logico attendersi che la persona sia portata appunto a conoscere la verità della sua situazione: quindi l’assoluzione sacramentale sarà possibile darla solo a chi, una volta presa coscienza della sua situazione peccaminosa, se ne penta. Non si può pensare che, proprio in un processo di discernimento sulla sua situazione adulterina, il penitente confessi solo gli altri peccati, quelli di cui “sarebbe cosciente”, mentre non sarebbe cosciente dell’adulterio che invece è proprio il tema su cui sta ricevendo un accompagnamento e realizzando un discernimento. In generale, questa contraddizione fa sì che la stessa dottrina delle attenuanti non sia usata correttamente nel documento: infatti, se il tema principale del testo è “accompagnare e discernere”, quindi aiutare a prendere coscienza, non ha senso poi invocare, in questo stesso contesto, la mancanza di consapevolezza. Quindi cade anche, a sua volta, l’infedeltà al testo che Buttiglione ci attribuisce nel suo esempio iniziale: “Facciamo un esempio: nella seconda proposizione attribuiscono al Papa l’affermazione che il divorziato risposato che permanga in tale stato con piena avvertenza e deliberato consenso è in grazia di Dio. Il Papa dice un’altra cosa: in alcuni casi un divorziato risposato che permane in tale stato senza piena avvertenza e
deliberato consenso può essere in grazia di Dio”. Ora, è vero che il papa fa riferimento a circostanze attenuanti; ma il fatto è che questo riferimento contraddice il tema in oggetto, che è il discernimento: è infatti direttamente contraddittorio pretendere che “si discerna” ma “senza avvertenza”. Quindi questi “alcuni casi” in cui non c’è piena avvertenza, esistono certamente, però non si può pretendere che appartengano al tema in esame. Da questa osservazione si capisce che la dottrina delle attenuanti qui è usata solo come una maschera per dissimulare l'etica della situazione. S. Giovanni Paolo II dice: “Sarebbe un errore gravissimo concludere che l’insegnamento della Chiesa è essenzialmente solo un ‘ideale’, che poi dev’essere adattato, proporzionato, graduato secondo le cosiddette ‘possibilità concrete’ dell’uomo, secondo un ‘bilancio dei beni in questione’. Ma quali sono poi ‘le concrete possibilità dell’uomo? E di quale uomo stiamo parlando? Dell’uomo dominato dalle passioni o dell’uomo redento da Cristo? Questo è ciò che c’è in gioco: la realtà della redenzione di Cristo”. I firmatari stanno dicendo che (se Papa Francesco sta agendo con piena avvertenza e deliberato consenso) è colpevole di questo “gravissimo errore” e sta implicitamente negando “la realtà della redenzione di Cristo”? In AL VIII, il frequente riferimento ai “limiti della situazione”, che impedirebbero l’osservanza del comandamento, è, implicitamente ma chiaramente, una prova che il testo è materialmente in conflitto con i canoni del Concilio di Trento che condannano l’affermazione secondo cui all’uomo giustificato è impossibile l’osservanza dei comandamenti. Tuttavia, sul fatto se il Papa sia personalmente colpevole di questo errore, ribadisco energicamente che noi non emettiamo nessun giudizio, anzi neghiamo esplicitamente tanto di volerlo quanto di poterlo fare. In questo, ci distinguiamo chiaramente da Buttiglione, che invece si prende la libertà di giudicarci duramente, attribuendoci addirittura “molta malizia” (nel suo commento alla quarta censura). Che cosa pensa in generale della confutazione che Buttiglione ha dato delle vostre proposizioni? Mi sembra chiaro che si tratta di una confutazione estremamente sbrigativa e superficiale: il fatto stesso che Buttiglione pensi di confutarci con queste poche frasi è francamente sorprendente in una persona così intelligente e riflessiva. Come abbiamo visto dai pochi esempi citati, ogni frase meriterebbe un lungo approfondimento, e su ognuna è già apparsa una nutrita bibliografia, cosa che, come ho detto, Buttiglione non ignora. Quest’attitudine rivela quindi piuttosto un certo nervosismo, una certa ansia di sbrigarsi in fretta da una situazione molto più complessa di quanto Buttiglione sia disposto ad ammettere. Spero sinceramente che ritorni sui suoi passi e ci rifletta più seriamente. In che misura crede che il movimento neo-conservatore nella Chiesa sia responsabile di questa crisi, confondendo per molti anni una sorta di ultramontanismo con l’ortodossia? Certamente c’è una responsabilità: troppe volte ha fatto comodo a molti dire che qualcosa è vero “perché lo dice il Papa”, evitando la scomodità di andare a studiare le fonti della Tradizione e
della Scrittura, e anche la fatica di pensare sui fondamenti filosofici della morale naturale. Certamente questo è un difetto che dobbiamo correggere: il papato è un immenso dono per noi cattolici, ma non deve trasformarsi in un incentivo all’ignoranza e alla pigrizia, oppure al partito preso. Nella presente circostanza, mi vedo obbligato a sottolineare che una persona del livello intellettuale e morale di Buttiglione non difenderebbe mai un testo così indifendibile, se non lo facesse appunto per partito preso, un’opzione ideologica basata, in ultima analisi, su un falso concetto del Papato. Lei crede che Papa Francesco conosce bene la “regola” secondo cui si suppone che sarebbe tenuto a insegnare la dottrina ortodossa, ma ha una grande difficoltà a comprendere il suo “valore intrinseco”? Personalmente ho insegnato per un decennio in una facoltà teologica qui in America Latina, dove ho conosciuto anche parecchi gesuiti, sia come colleghi che come alunni. Alla luce di quest’esperienza, sono giunto alla conclusione che, purtroppo, papa Francesco ha profondamente assorbito, sia all’interno della Compagnia di Gesù, sia da parte di certe università della Germania (che a loro volta hanno profondamente influenzato la teologia qui in America Latina), più di un’idea che poco ha a che vedere con l’ortodossia cattolica. Una di queste è il sovrano disprezzo per tutto ciò che è “dottrina” (e per chi a questa si dedica e la difende), disprezzo condensato nella famosa massima secondo cui “la Realtà è superiore all’idea” (già discussa nella nostra precedente intervista). Provvidenzialmente però, questo stesso disprezzo per la “dottrina” gli impedisce di presentare come vero e proprio magistero (che sarebbe appunto “dottrina”) le opinioni che sostiene come dottore privato.